Frutta, fiori, erba, alberi, verdura: queste le cinque sezioni della diciassettesima mostra personale delle opere di Silvana Sottotetti. Ogni opera è presentata in stretta correlazione con l’attività umana: opere come “nell’agrumeto” “Fienagione in alta collina”, “I taglialegna” e “Raccolta delle patate negli USA degli anni cinquanta” mettono in primo piano la fatica e la soddisfazione collegate ad un duro e paziente lavoro. Così “La rosa e i guanti” e “La bionda dell’Oltrepò” danno rilievo al peso che hanno, nella nostra vita, attraverso i sensi, i doni della terra per la casa e per il riposo, ad esempio. Non solo per il palato ma anche per gli occhi sono una vera goduria i peperoni. Come aspetti rivelatori della sua città ha scelto gli studi sui peperoni ma di Voghera, omaggio ad un prodotto che merita…con colori brillanti, intensi e luminosi. Il titolo della mostra vuole essere un invito a riflettere sui tanti piccoli tesori che abbiamo a portata di mano ogni giorno senza renderci conto del loro valore. La terra ha bisogno di rispetto se vogliamo che continui ad essere generosa di questi doni.

 “I doni della terra”, Sala Pagano – Voghera


“Iustissima tellus”, la giustissima terra, diceva il grande Virgilio. La terra (e la Terra) quando è amata, rispettata, coltivata, e ovviamente non stravolta o distrutta, in cambio dà sempre. Dà qualche volta il cento per uno, a volte meno, e sempre a prezzo di fatica, ma rimane la nostra principale fonte di vita, ancor oggi mentre – ahimé – si comincia a parlare di arance stampate col computer e bistecche di plastica. Corriamo ai ripari, rendiamole giustizia, finché siamo in tempo.
Un modo efficace, anche se non subito lo si capisce, di contribuire a questa “giustizia” verso la terra è quello degli artisti, che dalla terra e dai suoi doni traggono ispirazione da sempre. Così Silvana Sottotetti, che ama offrirci di tanto in tanto una mostra a tema, e che questa volta ha scelto di raffigurare i “Doni della terra” – questo il logo – e la fatica dell’uomo per interagire con la loro incommensurabile ricchezza.
Non solo fiori e frutti e alberi, dunque, ma persone, legate alla madre terra da vincoli non soltanto di fatica e di antica schiavitù, ma anche di una produttiva simbiosi che nei secoli, nei millenni, ha costruito identità e civiltà di popoli. “Custodite la terra” sta scritto nella prima pagina della Bibbia; e poco più oltre, dopo la caduta, “Col sudore della fronte lavorerai la terra”. Ma questo, benché suoni come una condanna, è il realtà il giusto prezzo di un dono che non può più essere totalmente gratuito, e il giusto orgoglio di averlo guadagnato.
La mostra si inaugura sabato 9 febbraio alle 17 e prosegue fino a domenica 17 febbraio, con orario giornaliero 16,30 – 19 e il sabato e le domeniche anche al mattino, ore 10 – 12,

e.c.b.

“I doni della terra”, Sala Pagano – Voghera


L’artista trasmette messaggi. Ma non a tutti il messaggio arriva uguale, anzi. Non c’è niente di più “personalizzato” della reazione, dell’emozione di ciascuno davanti a un quadro.
A noi la mostra di Silvana Sottotetti “I doni della terra” desta ricordi di infanzia e di poesia. Quello che per molti è duro lavoro e sacrosanto appuntamento con la fatica, per un bambino di città – la grande città, ormai lontana anni luce dalla civiltà contadina – è un’avventura, una scoperta, una festa. La semina, la fienagione, la raccolta della frutta, là nella fattoria dove vivevano gli zii… e la spannocchiatura, che alla scolaretta fresca di studi suggeriva i versi del Pascoli, imbattibile evocatore di suoni: “E i monelli – ruzzano nei cartocci strepitosi” . E ancora: “Al cader delle foglie, alla massaia – non piange il vecchio cor, come a noi grami: – ché d’arguti galletti ha piena l’aia. Arguti galletti: si può dir meglio? Sembra di vederli dipinti da Silvana. Eh sì, poesia e pittura sono sorelle: la parola dipinge, il pennello parla. Davanti a un altro quadro, la “voce di dentro” è quella di Ada Negri, musa lombarda: “Nel paese di mia madre c’è un campo quadrato, cinto di gelsi”, Vedeteli lì, i gelsi di Silvana, i “moroni”. Ah, il sapore delle more, sapore d’infanzia perduta!
Ecco… volevamo evitare questo aggettivo malinconico. No, non è perduto quello che un artista sa far rivivere con i suoi quadri. E non sono solo ricordi personali, ma tutta una civiltà in gran parte scomparsa, eppure in questo modo trasmissibile anche alle generazioni future. Come nel quadro “Il nonno giardiniere”, con quel bimbo in attitudine attenta, incantata. E come parlano anche da soli i peperoni di Voghera, le angurie, l’uva… Silvana ce li dona “virtualmente”, ma ce li dona davvero.
Subito però le didascalie ci salvano da un minimalismo puramente oltrepadano con la raccolta in un agrumeto, quella delle zucche in Austria o delle patate rosse in U.S.A. Segno di una sotterranea fratellanza di fatiche e di doni raccolti, a dimensione mondiale.
Bello anche quel torso d’uomo, a sé, senza zappe o falci o canestri o altro. L’uomo e la terra: simbiosi, a due direzioni. L’uomo è lavoratore e fruitore, ma anche “dono” della terra egli stesso. Della terra e della Terra, che produce non soltanto “diversi fructi con coloriti fiori et herba”, ma anche artisti come Silvana.

e.c.b.

Il “Grand Tour” in Europa, Sala Pagano – Voghera


Nei secoli passati, specialmente dal settecento in poi, era di moda il Grand Tour. Giovani di buona famiglia, ma anche maturi intellettuali curiosi (vedi Goethe), partivano gioiosamente, finanze permettendo, per un viaggio attraverso i principali paesi d’Europa, esperienza giudicata indispensabile alla formazione culturale dei membri della borghesia e dell’aristocrazia. Dapprima furono avventurosi signori dotati di buona borsa e di spirito di adattamento, poi anche signorine rigorosamente accompagnate. Ora, questi turisti-non-per-caso non trascuravano mai di portare con sé un album di bianchi immacolati fogli da disegno, eventualmente corredati da una scatola di colori. Ne risultavano spesso risibili scarabocchi, ma anche pregevoli schizzi, acquerelli, pastelli, che portavano magari la firma di Victor Hugo o di Felix Mendelssohn.
I tempi cambiano. L’onnipresente smartphone ha sostituito l’album, e le foto ricordo vengono postate a valanga sui social network e siti vari. Ma non per Silvana. C’è da chiedersi se il computer non sostituirà presto anche i viaggi, almeno per i più pigri che troveranno molto più comode le foto degli amici e le innumerevoli visite virtuali via web. Ma non Silvana. Agli amanti delle visite virtuali non meccanizzate-informatizzate consigliamo un giro nella Sala Pagano, dove i disegni e dipinti di Silvana Sottotetti resteranno in mostra fino al 18 marzo.
Lei, il suo album, lo realizza con occhi e mani e testa di artista. La sua Europa è altra cosa. Italia, Svizzera, Francia, Grecia, Svezia, paesi vicini e paesi lontani del vecchio continente sfilano davanti agli occhi degli astanti non sotto forma di paesaggi e vedute da cartolina, ma con forme di volti umani, di animali, di case, castelli, montagne, laghi, “paesaggi interiori” oltre che esempi di rappresentazioni vedutistiche. E’ chiaro che occorre una marcia in più per cogliere l’anima di un paese nella figura di un cameriere di bistrot, in un cigno solitario intravisto in Svezia, nell’avanzare selvaggio dei cavalli della Camargue, nel volto intenso e segnato di Maria Curie.
Tra le sue molte virtù, Silvana Sottotetti ha quella di non rinchiudersi nella torre d’avorio dell’artista sdegnoso che si capisce solo lui, ma, al contrario, di prestarsi a dettagliate e coinvolgenti spiegazioni del significato delle sue opere. Una virtù che, con non simulata modestia, attribuisce al suo passato di insegnante. Ne nasce, via via, un’azione squisitamente interattiva tra artista e pubblico. All’inaugurazione, sabato 10, abbiamo visto volti di spettatori illuminarsi, con un’espressione che diceva chiaramente “ma guarda, a questo non avevo pensato, non l’avevo notato, ora mi sembra tutto diverso”. Ma dobbiamo sottolineare un effetto ben noto agli sperimentatori scientifici: a volte le cose cambiano anche in senso inverso. Lo spettatore non solo riceve, ma dà; l’artista scopre nella propria opera nuovi significati che non aveva inteso metterci, almeno all’inizio. Silvana ci confermerà se questo accade anche a lei.
Nell’ultima mostra dell’intrepida viaggiatrice, il viaggio virtuale percorreva le vie d’Italia e prometteva altri percorsi, promessa mantenuta. Ma il percorso dell’amica artista non è solo geografico e chilometrico: Silvana non si ferma mai, sperimenta sempre nuovi modi, nuove tecniche, alterna e combina disegno, tempera, pastello, carboncino, con risultati spesso sorprendenti. Avanti, dunque: verso nuove scoperte, nuovi risultati, nuovi orizzonti.

e.c.b.


Il “Gran Tour” contemporaneo, Sala Pagano – Voghera


Può ricordare un Grand Tour del XVII secolo questo viaggio in Italia di Silvana Sottotetti, ora in mostra in Sala Pagano a Voghera fino al 9 aprile e che ha proprio come titolo In Italia…, perché dal nord al sud a prevalere è la bellezza dei nostri centri abitati, dei monumenti storici, del nostro ambiente, delle nostre campagne, dei frutti della nostra terra.
C’è l’abside della chiesa di San Pietro a Robbio Lomellina, la torre pentagonale di Rivanazzano, la basilica di Sant’Apollinare in Classe, la porta ad arco di Volterra e la magnificenza di Trinità dei Monti di Roma. E ci sono vedute delle Cinque Terre, uno scorcio del porto di Molfetta con il Duomo Vecchio, borghi toscani e strade fiorentine, il Polesine degli anni Settanta, il tramonto sulle rocche Parvo. E ci sono anche gli animali che vivono nel nostro ambiente come il migliarino, il cinghiale, la livornese bianca, la pecora pugliese e quella brianzola. Cose buone che si coltivano e che si producono come le olive, l’uva, il pane di Orsara. E come non ritrarre la gente che quei luoghi li abita, per esempio la nobildonna siciliana, e vi lavora, quindi il pescatore di Scoglitti, l’allevatrice di pecore o il viticoltore.
Lo sguardo della pittrice, che li ha raccolti nell’archivio della memoria insieme alle emozioni destate, li ha rielaborati e li ha voluti imprimere su carta, tela e tavola di legno, favorendo la “tecnica mista”. E lei non si è risparmiata nel declinarla in tutte le possibili combinazioni: pennarello e gesso; gesso, tempera e pastello; olio e gesso; pastello acquarellato e pennarello; pennarello, acquarello e tempera; gesso, pennarello e pastello; pastello acrilico e pennarello; acrilico, pennarello e pastello in bianco e nero; china e tempera… Ma sono anche attestate le tecniche a olio, a china, a sanguigna.
Non si ferma la Sottotetti a quanto ha visto nei luoghi visitati, ma mostra l’ampio spettro dell’italianità, in onore delle menti illuminate che qui sono nate, come lo scienziato Galileo Galilei; i santi Rita da Cascia e Francesco d’Assisi; gli artisti, Caravaggio, Raffaello, Paolo Uccello; lo scrittore Carlo Goldoni.
Come poteva mancare l’eccellenza nella moda, presente con una borsa di Prada, e il sogno universalmente riconosciuto della Ferrari Testarossa, che pure campeggia sul manifesto dell’esposizione. Status symbol senza confini creati dalla genialità tricolore.
È tutto un omaggio dal macrocosmo al microcosmo dedicato al Bel Paese, eterna fonte d’ispirazione che nel mondo tutti ci invidiano e aspirano a visitare almeno una volta nella vita.


Mostra d’arte “In Italia”, Sala Pagano – Voghera


Un’inconfondibile automobile rossa, vista da due diverse angolazioni, campeggia sul manifesto della personale di Silvana Sottotetti alla Sala Pagano (1-9 aprile, ore 16-19). I visitatori della mostra, che si inaugurerà il primo aprile alle 17, saranno pronti a giurare che la pittrice vogherese abbia voluto celebrare così la vittoria della Ferrari al Gran Premio d’Australia di formula 1. Ma no: date un’occhiata al numero scorso del giornale, stampato giovedì 23, quindi in tempi non sospetti: la Ferrari è già lì. Silvana, sei una profetessa?
Scherziamo, ma non poi troppo. Molti segni, molte conferme, lungo i secoli, indicano che gli artisti hanno in qualche modo una marcia in più, ed anche più di una. L’artista – pittore, in questo caso – è quello che vede al di là della cosa vista, e in effetti quasi mai la rappresenta così com’è, a parte specifiche scelte di stile o di corrente (iperrealismo e simili: ma anche qui ci sarebbe da discutere). L’artista, per definizione, ha una sensibilità che non è da tutti, che non è per tutti. E, diciamolo, ha anche un bel coraggio – parrhesia, direbbero i teologi – insistendo a voler esprimere visibilmente quella sensibilità in un contesto sociale e culturale spesso cieco e sordo.
Gli artisti sono gli infermieri dell’umanità malata di pragmatismo e di materialismo. Sono i fornitori d’anima al mondo degli oggetti inanimati, al banale quotidiano, perfino all’ovvio e al brutto, poiché davvero tutto, in mano loro, può trasformarsi in “opera d’arte”. Sentiremo che cosa avrà da dire Silvana in proposito. Poiché sarà lei stessa a presentare la sua opera al vernissage di sabato, e lo farà certamente con quella modestia che solo in apparenza non fornisce chiavi speciali di lettura, lasciando ampia libertà allo spettatore. In realtà quella stessa modestia apre orizzonti.
Questa volta il titolo è “In Italia…” Quella Ferrari Testarossa dice già molto! Gli occhi della Silvana artista guardano in profondità la realtà che ci sta intorno, ne focalizzano le voci, i sensi evidenti o nascosti, gli aspetti caratteristici, le “icone”. Lo abbiamo visto nelle sue figure, nei suoi paesaggi, nelle scene di lavoro e di vita contadina. Ora il tema è specifico, ma vasto: “In Italia”. E che cosa mai è più italiano delle “rosse” di Maranello? Ma certo nella mostra ci attendono altre scoperte e altre sorprese.


Mostra d’arte “In Italia”, Sala Pagano – Voghera


Arriva con l’inizio della primavera, come immancabile suggello di colori e ispirazioni, la multiforme fecondità di Silvana Sottotetti, abitué della “Pagano”, a rinnovare nei seguaci vecchi e nuovi, negli estimatori più sensibili al suo tratto etereo e riconoscibile, la curiosità, lo stupore, la simbiosi.
I lavori che ha scelto di esporre, sono immagini catturate, rubate, ad una “italianità” travolgente, carattere distintivo che sigla colori e bellezza, ma anche riflessioni, austerità, decadenza.
Il tutto affrontato alla maniera della Sottotetti, con quella levità che le è propria, con il suo tratto che spesso solo allude e mai, proprio mai, è furente o calca sul foglio.
Ed ecco che, anche in queste opere, si potranno apprezzare la sensibilità e l’originalità nel cogliere particolari e nel renderli all’osservatore vivi, animati da un mai sopito desiderio del bello, dal fluttuante interscambio tra sogno e realtà.

Mostra d’arte “In Italia”, Sala Pagano – Voghera


Silvana Sottotetti è una delle tante persone che avrebbe voluto ma non ha potuto frequentare l’Accademia di Brera. Ma il suo sogno era quello di dedicarsi alla pittura. Così da ex-docente di lettere, ex-direttrice della Biblioteca Civica Ricottiana di Voghera ha rivolto il suo impegno alla frequenza dei corsi a Brera: prima quattro anni generici, poi tre anni di Scuola Libera del nudo.
Determinata, impegnandosi al massimo, ha raggiunto il suo scopo, trasformando in realtà il desiderio vagheggiato per anni: possedere un cavalletto, una tavolozza, colori e pennelli e dipingere.
Le confidenze all’inaugurazione della mostra “Il lavoro” alla Sala Pagano hanno evidenziato che stava nelle parole dell’artista la chiave di lettura di ognuna delle quarantatre opere a tecnica mista esposte. Importante era ascoltare con attenzione per arrivare ad osservare senza pregiudizi o sicumera, apprezzare quel suo modo particolare di evocare i ricordi e tramutarli in immagini con un segno incisivo, a volte denso a volte leggero, affinatosi nel tempo, a dare forma alle sue composizioni chiarificatrici di una maturata padronanza di più stilemi formali. Allo sguardo diventava leggibile l’esposizione delle opere per settori. Ed ecco i lavori collegati alla terra e al mare – dall’agricoltore al pescatore -, quelli collegati all’artigianato e al commercio – come il venditore di acciughe e il panettiere -, quelli attinenti all’arte e alle attività intellettuali o di altro genere – ad esempio il suonatore di fisarmonica, la ballerina, il cantante, il medico -.
Il mondo della pittrice fatto di sogni, colori, espressioni/movimenti/sentori evocava tempi e spazi diversi di cui era sempre padrone l’uomo, evidenziando quella sua caratteristica leggerezza di porsi senza pretese, quasi rifugiandosi nell’ironia che usa verso se stessa. Nell’intento chiaro di ricerca dell’ “irregolarità”, convinta del suo valore, Silvana la spiegava non come “errore”, ma un “lasciarsi andare” per dare sapore e unicità all’opera, in un bisogno di superare le regole accademiche.
Interessante è da considerarsi quella che lei chiama “dimensione bloccata” quando cioè nel quadro manca lo “sfondo”. Serve per far capire che la figura – ad esempio la ballerina – nello slancio eccezionale fermato dalla mano dell’artista diventa senza tempo ed emblema di vitalità. L’originalità di proporsi di questa artista sta proprio in certe “accortezze” che possono sfuggire o essere incomprese, mentre in realtà hanno una loro ragion d’essere. Viene da chiedersi perché sia stato scelto il tema del lavoro per questa mostra. «Perché è molto interdisciplinare, si unisce al tema della figura umana, delle nature morte, del paesaggio… Qualche volta il lavoro sconfina nelle attività del tempo libero».
È l’attenzione che va al di là della semplice visualizzazione a portare a intravedere in un quadro, come quello del suonatore di fisarmonica, il richiamo alla natura morta che non è l’opera completa, ma quel che sta in essa come un’appendice, in un angolo.
Silvana è un’artista sentimentale che si affeziona alle sue opere: come a quella del bambino che si mostra orgoglioso e rassegnato nell’atto di portare a termine il suo lavoro, o dei contadini stravolti per la fatica di ogni giorno. Importante è per l’artista la sottolineatura del gesto. Chiarificatore ne è il quadro che rappresenta quattro donne del profondo sud vestite di nero intente a ricamare. « È in quest’ora – l’ora del ricamo – il meglio della loro vita, perché il tempo è tutto per loro e si sentono importanti». Le parole sottolineano il linguaggio della pittura che è quello dell’anima che sa far affiorare emozioni e sentimenti, in fondo la vita.
Silvana Sottotetti, nella sua ricerca, nelle sue scelte, nelle sue espressioni pittoriche evocative ha trovato, anche con questa mostra, una sua creatività che non cerca voli pindarici, ma la via più sicura per arrivare al cuore e alla mente di chi è capace di fermarsi per un nuovo AMARCORD.

(Bruna Spalla Lozza) | Mostra d’arte “Il lavoro”, Sala Pagano – Voghera


Il nudo ha da sempre svolto una funzione ben precisa nell’ambito dell’arte, sia antica che moderna. Quello di rappresentare il corpo senza orpelli e senza quei filtri, offerti dalla moda e dai vestiti, da sempre simbolo sociale, sia di nobiltà e ricchezza o di povertà. Messo a nudo il corpo ha la bellezza della natura e la miseria della banalità, delle imperfezioni, dell’età. Ma sempre trasmette una visione diretta e forse veritiera di chi siamo noi. Silvana Sottotetti non si sottrae a questa verifica, anzi, nell’ambito del suo percorso pittorico il nudo assume un importante rilievo. Anche per la formazione accademica avvenuta a Brera nell’ambito della Libera scuola di nudo, ma forse, e ancora di più, per una scelta stilistica ed espressiva di fondo che l’autrice riassume in un concetto: “nel nudo non c’è solo anatomia, ma uno stato d’animo.”.
Silvana Sottotetti porta la conoscenza della tecnica ottenuta nell’ambito degli studi formativi ad una dimensione compiuta di figurazione, con corpi costruiti con colori caldi e avvolgenti, mai completamente realistici, con una linea che delimita i contorni per suggerire maggiore fisicità a corpi che sembrano scolpiti nel colore.
Per contro lo sfondo è delineato con rapide pennellate che lasciano, in molti casi, la visione del non finito per concentrare maggiormente l’attenzione sulla figura centrale, sul corpo che non nasconde la tensione della posa o della messa in scena. Il sottile velo che Silvana Sottotetti costruisce fra la pura osservazione del nudo e la sua trasformazione in opera pittorica è l’occasione che ha determinato l’opera: in molti casi sono sedute e lezioni di nudo con modella e i titoli, con esattezza di luogo e data, ricreano l’evento. Questo rende le opere come studi in divenire, come esperienze che non si esauriscono nella singola creazione, ma come tappe di un lungo percorso. Nel contempo questi nudi sono visioni reali di un avvenimento dove il corpo diventa materia di studio, di creazione e di sintesi, ma soprattutto occasione per fare “pittura”, per trasmettere “lo stato d’animo” a cui fa riferimento l’autrice.
La compattezza stilistica delle opere esposte in questa mostra presso lo Spazio 53 di Voghera conferma che Silvana Sottotetti ha trovato nel nudo una dimensione riuscita di forma, visibile nella mole imponente di disegni, e di capacità espressiva, che è densa nei colori e nelle figure, ma lieve nelle percezioni e nelle raffigurazioni.


(Renzo Basora) “Sessantasette nudi”, Spazio 53 – Voghera



“Ogni mostra di Silvana Sottotetti è un punto fermo nella sua esperienza di artista perché viene pensata come una sorta di consuntivo: le sue esposizioni sono tematiche e non cronologiche, raggruppano cioè la sua esperienza in oltre dieci anni di attività e fanno il punto sulla tecnica, misurano l’ispirazione, segnano i cambiamenti.
Silvana Sottotetti è pittrice prolifica, dedita ad un lavoro costante che ha raggiunto ormai una maturità consapevole sia nella padronanza delle tecniche che in quella dei mezzi espressivi.
Una lettura del genere è possibile ad ogni appuntamento espositivo proprio perché i contenuti delle mostre sono sempre organizzati per temi e consentono di leggere, ogni volta, il suo percorso artistico nell’accostamento di opere disomogenee dal punto di vista cronologico ma affini nel contenuto.
Questa volta è toccato ai Temi religiosi: inaugurata lo scorso 12 aprile presso la Sala Pagano, la mostra accostava, per sezioni, il viaggio all’interno della tematica religiosa che l’artista ha compiuto fin dalle aule di Brera. Per temi affini, come la maternità, la rappresentazione di Cristo, gli episodi del Vangelo, gli antichi campioni della fede e quelli contemporanei, le opere raccontavano il sentimento religioso, inteso come esperienza personale dell’artista oppure come metafora dell’aspirazione al sacro dell’uomo stesso, qualsiasi sia il suo credo.
Due le evidenze: la sincerità dell’ispirazione, che la pittrice cela nelle sue figure, soprattutto in quelle di Cristo, e che sottintendono il piacere e la necessità di tradurre in forme un trasporto personale; accanto a questo, il dato tecnico. Silvana Sottotetti mostra una grande duttilità con qualsiasi tipo di stilo: non solo con il pennello – questo è evidente – ma anche e soprattutto con il carboncino, con la biro, col pennarello, col pastello. Tecniche continuamente messe alla prova e, soprattutto, sovrapposte, mischiate, sommate ad una varietà di supporti che danno conto dello stimolo alla sperimentazione che sostiene il suo lavoro. Queste caratteristiche emergono e uniscono in una unità di contrari e di contrasti un percorso ormai denso, leggibile anche all’interno di quest’ultima esposizione come era stato passibile in passato attraverso i paesaggi, le figure, le nature morte, gli animali. Qualcosa di accademico e molto legato alla tradizione.
Perché è proprio nel solco della memoria che si muove la ricerca di Silvana Sottotetti, intesa a riservare la sperimentazione ai materiali, ai colori, ai tagli compositivi e ai supporti: è questa la materia palpitante dell’innovazione e della personalizzazione del linguaggio ricercata dall’artista che sceglie, da sempre, di non scostarsi dall’alveo certo e solido della tradizione quando si tratti di contenuti e di generi.”

 
(Manuela Bonadeo) Temi religiosi, Sala Pagano – Voghera


“… Le opere che più significativamente rendono conto dell’emozione creatrice dell’artista sono sui fogli: grafite, pastello, tecniche miste, qualche acquerello. E sono volti, paesaggi, figure, nature morte; i generi dell’arte, quelli sui quali si costruiscono gli insegnamenti accademici.
È in questi luoghi espressivi che il segno sa essere incisivo e va oltre: si fa curvo, denso, veloce, si spezza e si colora nel manifestare fisicamente un’urgenza espressiva che finalmente può prendere forma…” (Manuela Bonadeo – Giornale di Voghera, 5 ottobre 2006)

“… Dopo un periodo di riflessione in ambito locale, ha rotto gli indugi: prende il treno per andare a Milano, a Brera. Frequenta i corsi pomeridiani dell’Accademia, dove si affollano gli allievi. In particolare, i corsi di nudo, che è il tema che sta affrontando e genera una produzione ormai soverchiante. Soverchiante perché – meticolosa com’è – ad ogni seduta produce un’opera. Utilizzando soprattutto i colori acrilici e acquisendo sempre miglior fluidità nel comporre. Prima di questa scoperta si era dedicata a riprodurre, alla sua maniera, la più indeterminata e vasta realtà. Dai cavalli alle cover di foto di personaggi come la Dietrich o Brando, da Padre Pio a Madre Teresa. Con assoluta naiveté, senza preoccuparsi di quanto succede, almeno da un secolo, nel mondo dell’Arte. Media o alta che sia…” (Gigi Giudice – Giornale di Voghera, 16 ottobre 2008)

Per capire l’ansia del fare pittura dalla nostra artista conviene fare un salto nella “Traumdeutung” di Freud: alla staticità dell’impostazione si contrappone la continua virtualità del “gesto” e il vibrare estremo del colore. La forza insita nelle figure di Silvana Sottotetti deriva dal portare all’estremo del significante il segno interpretativo, creando nella costruzione della figura come un’incisione , dove il gesto è inferto sul magma del colore. La trascendenza chiamata “Arte” non viene insegnata nelle “Accademie”, ma gli strumenti e la tecnica si: la nostra pittrice già aveva un suo bagaglio tecnico via via raffinandosi, conferendo alla sua pittura una particolare qualità formale. Concludendo i suoi dipinti, specialmente i “nudi”, non sono un rifugiarsi in una razionalità spaventata, ma la sintesi, quanto mai impressiva, di una realtà nel suo farsi dal profondo. (Prof. Massimo Zupelli – Titolare Libera Cattedra del Nudo dell’accademia di Brera, 2009)

“… I soggetti di Silvana Sottotetti, al pari delle tecniche usate, sono molteplici anche se, nell’ultima produzione, è palese una predilezione per il corpo umano reso con geometrica solidità, posto in evidenza, sempre, dal colore e dalla semplificata determinazione di volumi e di piani. Nella conclusa della forma, nella fissità dei gesti, nell’intensità del colore, le figure diventano personaggi che, sullo sfondo di paesaggi suggestivi, assumono una pensosa inamovibilità che li estranea dalla contingenza temporale. Spesso le zone di colore sono delimitate da netti contorni a racchiudere le forme, sempre le proporzioni sono al servizio della posa, l’accentuano e rendono espressiva. Come ogni persona dedita alla rappresentazione della realtà, anche la Sottotetti, pur nella sua produzione variegata, cede alla tentazione di andare dove la porta il cuore. È evidente la sua inclinazione per le figure femminili, rese con sincerità antiretorica, e per i vecchi. Questi ultimi, illuminante il caso de ‘La vecchia Fioraia’, sono caratterizzati da toni grevi e densi, sia nel colore che nel tratto, ingentiliti, sempre, da un segno, un bagliore inaspettato, che esprimono una certa intrattenibile emozione, una compassione che, come una carezza in punta di pennello o di matita, vuole offrire consolazione.” (Mirella Vilardi – Giornale di Voghera, 25 novembre 2010)

“… Lo stile è ben definito e diventa un’impronta del suo lavoro che la rende riconoscibile. La pratica affinata, invece, consente di usare mezzi diversi, dall’olio alla tempera, ma soprattutto due tecniche meno usuali: il pastello ad olio ed il pennarello. Queste ultime, più libere e dirette, consentono l’immediata trasposizione sulla carta dell’idea pittorica. Il pastello crea, inoltre, una pastosa densità che ben si addice ai toni contenuti, smorzati e quasi terrosi di queste opere. Non è il colore a creare la composizione, quanto il disegno che scava nella materia sino a fornire contorni agli oggetti e a dare volume alle forme. Un tratto che è insistito nelle figure ma che si libera e diventa più rarefatto nelle composizioni floreali. Temi classici, quasi abusati, che costringono la pittrice ad un continuo sforzo di rifinitura della forma, alla ricerca di un risultato estetico soddisfacente.” (Renzo Basora – Giornale di Voghera, 17 novembre 2011)

“… L’opera complessiva scaturita da questa indagine, condotta con metodo e coscienza da Silvana Sottotetti, appare in estrema sintesi come un fantastico bestiario, dove la necessità figurativa di rappresentare gli animali, da soli o nel loro habitat, diventa metodo di indagine sulla pittura, sulla costruzione della figura e sul colore come sintesi espressiva. Certamente gli animali, nella loro essenza figurativa, sono una tappa, una parte di un percorso più lungo e articolato che l’autrice affronta con forte impegno nella ricerca di fare pittura intesa come esercizio quotidiano, come sintesi della visione. Le sue immagini della natura appartengono al mondo della rappresentazione figurativa, vicino al naturale, ma pur sempre distante, per quel filtro che il pittore sa mettere tra sé e la nuda realtà. E la visione pittorica, che in Silvana Sottotetti acquista una sua cifra personale che, nel corso degli anni, appare sempre più identificativa di un progetto.” (Renzo Basora, Giornale di Voghera 8 novembre 2012)

“Tanti linguaggi espressivi quante sono le specie censite da Silvana Sottotetti, autrice di un completo lavoro di ricerca per immagine. Un catalogo sospeso tra Darwin e Linneo, un’indagine che passa in rassegna il mondo animale in modo intimo e sorprendentemente umano: svelando attraverso uno stile formalmente ineccepibile il carattere di più coinvolgente empatia tra uomo e natura. Dalla vacca varzese al suricati, passando attraverso cetacei e volatili: razze esotiche a tu per tu con animali autoctoni, per un safari visuale accolto nella cornice della Sala Pagano. La straordinaria varietà dei soggetti si rispecchia nella matura e completa dimostrazione della piena padronanza di più stilemi formali. Pastello, acrilico, carboncino, mixed-media: non c’è tipo di linguaggio e non c’è supporto che Silvana Sottotetti non sperimenti. Dimostrando una duttilità che è anche concettuale: perché sono i soggetti a dettare, attraverso le proprie caratteristiche intrinseche, quale sia il modo migliore per essere ritratti. Un’artista a cospetto dei propri soggetti, completamente volta ad assecondare con umiltà i caratteri propri dei suoi inconsapevoli modelli. Che si riscoprono umani troppo umani, radiografati con garbo nelle loro più sensibili ed intime peculiarità. (Francesco Sala, Giornale di Voghera 8 novembre 2012).

“…, Paesaggi e architetture, distinte poi nell’allestimento tra natura assoluta, natura e acqua, natura ed architettura, architettura urbana. All’interno di un medesimo tema, dunque, la pittrice si è mossa con grande libertà, utilizzando la pittura come fosse la fotografia, il pennello come fosse la macchina fotografica: spazi vissuti oppure sconosciuti, non importa. Ciò che conta e rende viva la materia è la suggestione che l’immagine crea nell’artista: non è solo ispirazione tout court, ma è un gioco di rimandi tra la pittrice e il paesaggio, da rendere come per fermarlo, esattamente ai modi di un’istantanea. È quel paesaggio preciso, in quel momento preciso, in quella situazione emotiva precisa: così esso diventa medium per esprimerne altro. A dar forza, il colore, mai troppo verisimile se deve giocare con l’emotività, e la materia, spesso eterogenea, molto poco tradizionale; ma anche il supporto, la commistione e la sovrapposizione delle tecniche. Questa somma di diversità segna la grande disinvoltura con cui vengono realizzate le vedute a natura assoluta, dinamiche e vitaminiche. A far da contraltare, in misura quasi diametralmente opposta, le vedute urbane e le architetture, molto essenziali e controllate, spesso a tratto nero di matita, spesso su foglio: linee misurate, forme pulite che restituiscono le cose in precisione spesso millimetrica. Non manca il colore quando alcuni luoghi, forse quelli più rappresentativi della propria storia, vengono ritracciati col pennello. Ma manca l’uomo, sempre, ovunque. Perché sia data voce e vita soltanto alla natura e alla architettura.” (Manuela Bonadeo, Giornale di Voghera, 4 luglio 2013)